Gioco del calcio nell’ambito scolastico e danno dello studente

Gioco del calcio nell’ambito scolastico e danno dello studente
10 Maggio 2016: Gioco del calcio nell’ambito scolastico e danno dello studente 10 Maggio 2016

Non è certo la prima volta che la Cassazione si occupa dei danni subiti dagli studenti durante l’orario di scuola ed “all’interno di una struttura scolastica”, ma con la sentenza n. 6844/2016 la Corte ha applicato in modo chiaro ed esauriente i principi di diritto da tempo elaborati in tema di responsabilità sportiva alla specifica materia dei danni derivanti dalla partecipazione di un alunno al gioco del calcio in occasione dell’attività scolastica. Si trattava del caso di uno studente che, nel corso di una partita di calcio “particolarmente animata” svoltasi durante l’ora di educazione fisica ed in assenza dell’insegnante, era stato colpito all’occhio destro da una violenta pallonata calciata da un compagno in occasione di una normale azione di gioco. La Corte ha rigettato il ricorso del danneggiato avverso la decisione della Corte territoriale che aveva confermato la reiezione della domanda di risarcimento proposta contro il Ministero dell’istruzione, precisando anzitutto che il gioco del calcio non può ritenersi “attività pericolosa” ai fini dell’art. 2050 c.c., per cui risulta irrilevante anche accertare se esso rientri o meno nei “programmi scolastici ministeriali” (in tal senso si vedano anche Cass. civ. nn. 1197/2007 e 20982/2012). Ai fini, invece, della responsabilità dei “precettori” disciplinata dall’art. 2048 c.c., la Corte ha osservato anzitutto che grava pur sempre sul danneggiato “l’onere di provare il fatto costitutivo della sua pretesa”, e cioè l’”illecito” che avrebbe cagionato il danno per cui chiede di essere risarcito. Tale non può ritenersi, tuttavia, secondo la Corte, la normale condotta di gioco di un partecipante al gioco del calcio “rientrante nella normalità sportiva”, in quanto conforme alle regole del gioco stesso ed alle finalità sue proprie. Infatti, come la Corte ha ripetutamente affermato, la condotta dannosa posta in essere in occasione della pratica sportiva può reputarsi illecita solamente “se l'atto sia stato compiuto allo scopo di ledere”, e cioè con l’intento non già di perseguire le finalità tipiche del gioco, ma di recar danno all’avversario, ovvero quando esso sia posto in essere “con una violenza incompatibile con le caratteristiche concrete del gioco”, e quindi con un’irruenza sproporzionata alle esigenze agonistiche ed al contesto ambientale (Cass. civ. n. 12012/2002). Qualora tali presupposti non ricorrano, il danno subito rientra infatti nella normale alea del gioco ed inerisce al rischio al quale ciascuno dei partecipanti accetta di assoggettarsi nel momento in cui sceglie di prendervi parte (Cass. civ. n. 1564/1997).

Altre notizie